domenica 26 dicembre 2010

NATALE FESTA DELLA FRATERNITA’

Quest’anno la festa del Natale è oscurata dalla crisi economica, sociale e morale che le luci multicolori delle nostre strade non riescono ad esorcizzare. La crisi, come ha rilevato il Rapporto Censis 2010, ha una radice più profonda nel vuoto interiore che porta ad «un calo del desiderio», ad una minore voglia di sperare e di costruire un mondo migliore. L'urgenza che indica il Censis per superare l’appiattimento della società del nostro tempo è «tornare a desiderare», che implica la tensione verso un bene appetibile . Carlo Borgomeo presidente della Fondazione per il Sud, venuto recentemente nella nostra Diocesi, ha indicato i fattori per uno sviluppo integrale nella cultura del bene comune a cui si oppone il tornaconto personale, nella cultura del dono a cui si oppone lo scambio di favori, nella qualità delle relazioni comunitarie improntate alla fraternità che generano coesione sociale. La società di oggi ha bisogno non di sterili moralismi, ma di una speranza non illusoria e di un amore vero, che non si possono costruire e pianificare, ma sono un dono da accogliere nella fede nel Figlio di Dio che ci ha rivelato il Padre ricco di misericordia. La fraternità è di fondamentale importanza per la soluzione dei più spinosi problemi della nostra società. Benedetto XVI nella Enciclica «Caritas in Veritate» ci ha ricordato che bisogna che la reciprocità propria della fraternità entri pienamente dentro i meccanismi economici e sia motivo di ridistribuzione, di giustizia sociale e di solidarietà. Non è capace di progredire quella società in cui esiste solamente il «dare per avere» oppure il «dare per dovere» e dove scompare l’agire gratuito cioè il «dare per amore». Il Natale di Cristo, che ci aiuta a riscoprire la nostra vita come dono di Dio e ci fa riconoscere figli dello stesso Padre, è una sfida alla nostra libertà per riaccendere il desiderio spento, riattivare l’impegno per il bene comune, praticare la fraternità universale . La nascita di Cristo può diventare un pio ricordo, una bella favola se non incide nella nostra vita di oggi. Il Natale , che ci mostra Gesù Cristo come contemporaneo e vicino alla vita di ciascuno di noi, dà un senso alla nostra attesa di un mondo nuovo e ci permette di assumere una posizione piena di speranza verso questo nostro tempo. Ma per accogliere Gesù è necessario desiderarlo come una promessa di vita bella, come il Maestro autorevole che ci può «educare alla vita buona del Vangelo». Facciamo nostri i sentimenti di Sant'Agostino: « La tua parola è il desiderio mio oltre ogni desiderio. Dammi ciò che amo. Tu sai che io amo: tu mi hai dato di amare. Non abbandonarmi, Signore. Non trascurare questo filo d'erba che ha sete di te». Il mio augurio per il prossimo Natale è che possiamo dilatare gli spazi del desiderio del nostro cuore, perché Cristo possa entrarvi per donarci una felicità non effimera da testimoniare agli altri e irrorare la nostra terra arida con la rugiada del suo amore.

+ Michele Pennisi

I NOSTRI AUGURI ALL'ITALIA


La Presidenza nazionale dell’Azione cattolica desidera esprimere gli auguri più veri per il Santo Natale e per l’anno nuovo a tutti gli italiani, credenti e non credenti, e a quanti, provenienti da altre nazioni, cercano nel nostro Paese un futuro migliore. È un augurio sincero, che si radica nella speranza – secondo gli auspici che avevamo già espresso nella nota di metà settembre –, speranza che deve guidare i nostri passi anche in un tempo difficile di crisi.

Siamo infatti consapevoli che alle feste natalizie l’Italia si avvicina con diverse e pressanti preoccupazioni, prime fra tutte i durissimi effetti della crisi economica sulla vita concreta delle persone e la perdurante crisi politica. Non ci è però consentito, per il bene stesso della nostra convivenza civile, rinunciare al sentimento della speranza. Vorremmo che di tale sentimento, in questo momento, fosse compresa tutta la portata: la speranza si traduce, nella vita di tutti, e nella vita di ogni giorno, in coraggio, capacità di resistenza, fiducia, ferma convinzione che non ci sarà sempre burrasca. La speranza è un potente motore che non spegne le coscienze, non acquieta gli animi in una pacata rassegnazione, al contrario attiva le risorse migliori della persona: l’iniziativa personale e comunitaria in difesa e in promozione del bene comune e della dignità di ciascuno, il senso del dovere e della responsabilità verso la sfera pubblica, la coerenza personale che si traduce in stile di vita esemplare anche per gli altri. Siamo chiamati, in modo diffuso e concreto, ad una semina costante di bene, che permetta al Paese intero di costruire il proprio futuro su fondamenta solide.

A metà settembre, l’Azione cattolica pose all’attenzione di tutti alcuni temi della “vita di ogni giorno” che ci apparivano trascurati, primi fra tutti il lavoro, l’integrazione degli immigrati, il sostegno alla famiglia, e in particolare alle famiglie in difficoltà. Meno di due mesi fa, a Reggio Calabria, i cattolici impegnati nella Settimana sociale scrivevano un’ambiziosa e seria agenda di speranza per il Paese. Si proponevano, tra le altre, misure per non trasformare la precarietà lavorativa in precarietà esistenziale, per sostenere l’autoimprenditorialità e la cooperazione, per garantire la piena partecipazione degli stranieri – nei diritti e nei doveri - alla vita della città, per inserire criteri di moralità, trasparenza e legalità nella selezione della classe dirigente e politica, per slegare la mobilità sociale dei giovani. Si invocava, inoltre, la riforma della legge elettorale e il completamento condiviso delle riforme istituzionali, necessarie per rendere il Paese più competitivo nei mutati scenari globali. Eravamo già nel cuore della crisi politica, eppure nessuno volle ridimensionare il sogno di un Paese a misura di tutti. Ad oggi, dopo il voto di fiducia, il quadro politico ci sembra essere ancora più fragile. Ci chiediamo: c’è la reale volontà, possibilità, capacità di assumere l’agenda della vita quotidiana? Ci saranno le condizioni perché la classe politica, nel suo insieme, sappia assumere davvero su di sé la richiesta di concretezza che viene dalla gente comune e dalle famiglie? E a fronte di una crisi economica che non smette di preoccupare e influire sulla vita quotidiana, ci sarà uno scatto di responsabilità condiviso per assicurare al Paese sicurezza dei conti e crescita? Non possiamo negare che le polemiche in corso dall’estate allontanano ancora di più la politica, impegnata in varie rese dei conti, dai cittadini, sempre più convinti di non poter trovare nelle istituzioni il sostegno necessario per uscire dalle loro difficoltà.

“Se la gente perde fiducia nella classe politica – ricordava nella sua prolusione all’Assemblea della Cei (8 novembre 2010) il cardinale Angelo Bagnasco – fatalmente si ritira in se stessa, cade lo slancio partecipativo, tutto diventa pesante e contorto, ma soprattutto viene meno quella possibilità di articolata e dinamica compattezza che è assolutamente necessaria per affrontare insieme gli ostacoli e guardare al futuro del Paese”.

Questo scollamento è una tara sul futuro di tutti, in particolare delle nuove generazioni. Il rischio è stato sottolineato anche in una particolare iniziativa promossa dall’Azione cattolica lo scorso 13 novembre, in cui si sono incontrati a Roma amministratori locali formatisi nelle fila dell’associazione. Erano amministratori provenienti da tutte le formazioni politiche, convinti però che ci sia, proprio nei territori, un surplus di volontà e intelligenza per ritrovarsi intorno alle questioni cruciali, senza barriere ideologiche e di appartenenza. È questa la democrazia moderna che l’Italia, inascoltata, reclama da tempo.

E proprio a riguardo delle nuove generazioni, abbiamo assistito sgomenti alle violenze del 14 dicembre nel centro di Roma, mentre era in corso il voto di fiducia. Quanto accaduto ha superato ogni limite accettabile: la distruzione dei luoghi pubblici, il pericolo portato a cittadini e turisti, lo scontro con le forze dell’ordine, lo sfoggio eloquente di violenza e provocazione non appartengono alla cultura dei giovani italiani, degli studenti, degli universitari e dei precari degli atenei. Il bollettino di guerra emanato poche ore dopo i fatti davvero lascia l’amaro in bocca e chiede a tutti un supplemento di riflessione. È noto ai più che tali manifestazioni di violenza hanno sempre molteplici motivazioni, fra tutte la mobilitazione di pericolose frange organizzate. L’Azione cattolica, al cui interno aderiscono migliaia di giovani, a margine di questi eventi vorrebbe però proporre un ulteriore elemento di valutazione. Più volte si è denunciato lo stato di grave frustrazione delle nuove generazioni, schiacciate da precarietà selvaggia, scarsi orizzonti, prospettive molto più cupe di quelle che avevano dinanzi i loro padri. Nel tempo, drammaticamente, si sono chiusi molti degli spazi di confronto tra adulti e giovani. La gerontocrazia che spesso si denuncia non è soltanto l’occupazione dei posti di potere da parte delle persone in là con gli anni, ma anche l’impermeabilità di tante istituzioni alle idee e alle sensibilità dei giovani. Politica, partiti, sindacati, scuola, università, lo stesso mondo dell’associazionismo rischiano di rinunciare ad un proprio proverbiale compito: veicolare nel dialogo pubblico i semi di novità che sempre provengono dalle nuove generazioni. In assenza di luoghi in cui ci sia un reale confronto e un reale ascolto, cosa resta ai giovani? Una asfittica accettazione dello stato di fatto? Ogni atto di violenza interroga tutti, chi lo realizza e chi lo subisce: cosa si fa ogni giorno per evitarlo? Il dialogo tra le parti sociali, e in particolare con i giovani, è una delle urgenze del momento storico. Rinunciarvi in nome delle proprie idee e delle proprie convinzioni porta solo in un vicolo cieco. Vorremmo, da questo punto di vista, sottolineare il peculiare contributo di associazioni come l’Azione cattolica che hanno come fine proprio il pieno protagonismo, nella realtà, di adulti, giovani e ragazzi.

Schiacciati però da ciò che accade nei nostri confini, in un abisso di provincialismo tipico del nostro Paese, chiudiamo gli occhi di fronte a tragedie e problemi ancora più grandi: il dramma delle popolazioni povere (si pensi all’indifferenza verso il colera ad Haiti), le persecuzioni per motivi religiosi, i permanenti scenari di guerra. Rinnoviamo quindi costantemente l’appello alla generosità e alla solidarietà concreta verso chi soffre, senza riserve e senza calcoli. Avvolti in un clima cupo, non possiamo dimenticare di essere cittadini del mondo, e che le nostre sorti sono sempre più interrelate. Ed è anche per questo motivo che l’Azione cattolica tiene vivo e saldo il proprio rapporto con la Terra Santa, crocevia di speranze e di conflitti. In queste festività, dunque, molti soci dell’associazione, insieme alla Presidenza nazionale, saranno pellegrini in quelle terre, per riscoprire il senso pieno di un’umanità che reclama pace, giustizia e solidarietà.

La speranza che l’Azione cattolica vuole tenere viva non è aleatoria. Il rapporto costante con il territorio mette in evidenza tantissime risorse umane, politiche, professionali, sociali, imprenditoriali, culturali e ambientali che sono in movimento, non si lasciano abbattere e scoraggiare. A queste risorse occorre però affiancare urgentemente la risorsa più grande: la partecipazione civica di ciascuno, l’interesse diffuso per la sfera pubblica, la formazione sociale e politica che rende ogni uomo e ogni donna libero e in grado di decidere, agire, denunciare, annunciare. L’Azione cattolica avverte tutta l’urgenza di qualificare sempre più il proprio contributo: proponendo itinerari di fede in cui il Vangelo illumini non solo la dimensione personale, ma anche la vita comunitaria, favorendo un più alto significato dello studio, della ricerca e del lavoro per il bene comune, sostenendo la formazione specifica di giovani e adulti che vogliono impegnarsi in politica, nel sociale, nella cultura e nella tutela dei diritti, cercando di costruire reti con tutti gli uomini di buona volontà, perché l’attenzione della collettività vada sui grandi e gravi problemi delle famiglie e delle persone.

A conclusione di questa riflessione, come non guardare alla ricorrenza dei 150 anni dell’unità d’Italia, alla quale un contributo non indifferente è stato dato proprio dai cattolici, cresciuti spesso nelle fila dell’Azione cattolica, che devono sentirsi tra i soci fondatori del nostro Paese.

Certi che questi sentimenti appartengono alla maggioranza reale del Paese, di cuore rinnoviamo a tutti i più sentiti auguri di un Natale sereno.(ROMA 22/12/2010

giovedì 16 dicembre 2010

LE RELAZIONI AUTENTICHE

Ogni persona si pone interrogativi fondamentali sulla propria e altrui condizione umana. Oggi non è facile instaurare relazioni autentiche e sincere. Spesso assistiamo a un’atrofia nelle relazioni tra le persone, conseguenza di quei preconcetti che si sviluppano negli uomini a causa di esperienze infauste nei rapporti fondamentali della vita quotidiana: in famiglia, a scuola, nel posto di lavoro, nelle comitive. Ci chiediamo, spesso, chi siamo? Da dove veniamo? Siamo solo forma o anche sostanza. Siamo solo materia o siamo anche spirito. Siamo persone! Abbiamo un’anima, uno spirito e un corpo! Siamo essere relazionali, creati per entrare in relazione. È la relazione autentica e sincera con altre persone che ci rende felici! La ricorrenza del Natale è la festa che ci ricorda la relazione tra Dio e l’uomo. A Natale dobbiamo prendere consapevolezza dell’importanza della relazione tra le persone, siamo chiamati a chiederci in che modo ci rapportiamo con gli altri; in maniera autentica e sincera o con ipocrisia e doppi fini? Gli altri si aspettano da noi autenticità e sincerità, non sempre siamo pronti. Il Natale può essere un’occasione di cambiamento verso relazioni autentiche e sincere, perché a “NATALE SI PUÒ…!” (clicca qui) LA PRESIDENZA DIOCESANA AUGURA A TUTTI UN SANTO NATALE