sabato 4 giugno 2011

DIAMO VOCE ALLE IDEE

(Forum sull'educazione. Pubblichiamo il secondo articolo per un progetto di comunità educante )


“La conoscenza sarà di colui che vorrà vedere” (Plotino)

Una tipologia di apprendimento è quella che sfrutta i momenti di pensiero, in altri termini, si apprende non solo quando si fa, ma anche quando ci si ferma a pensare e riflettere. Il lavoro dell’insegnante non è solo mansione, ma anche creatività, infatti la lezione non è sempre la stessa, pur essendo sempre gli stessi alunni e la medesima classe con cui interagiamo.

Le idee non sono i concetti ma sono le visioni, forma, che ci danno la possibilità di vedere e osservare le cose. L’idea non ha il compito di risolvere i problemi ma di osservarli, di scrutarli, di riflettere e pensare sui problemi. Pertanto, nel nostro compito educativo è importante riguardare alle idee a noi familiari. Perché? In quanto, attraverso le idee possiamo pensare e pensarci per conoscere. Attraverso di esse si può attivare un pensiero riflessivo che, nei dettagli della quotidianità, può cogliere l’essenza della verità, ma soprattutto l’essenza della conoscenza e della consapevolezza del sé. Spesso abbiamo la presunzione di conoscere le persone che ci stanno intorno oppure abbiamo la bramosia di voler conoscere gli altri. Ma noi ci conosciamo veramente? Sappiamo chi siamo? “il nostro vero nome lo conoscono gli dei” (Potino). Le idee ci devono servire ad attivare un processo di conoscenza a intra, per poter conoscere a extra. Le attività formative hanno attraversato diverse fasi:

a) quella della conoscenza; bisogna riempire il “contenitore” vuoto, il quale poi è chiamato a restituire in maniera identica quanto appreso.

b) quella delle abilità e competenze; attraverso il fare si deve condurre l’alunno allo sviluppo di abilità e competenze, affinché questi possa manipolare il mondo che lo circonda.

c) quella del pensiero riflessivo; attraverso le idee e il pensiero riflessivo condurre i ragazzi alla consapevolezza del sé, quindi a conoscersi per essere.

Insegnare ai ragazzi a imparare a conoscersi, presuppone che il docente prenda consapevolezza della sua funzione tutoriale. Dentro ognuno di noi c’è sempre qualcosa di più di quello che è manifestato, sono i cosiddetti “punti ciechi” della nostra interiorità. I “punti ciechi” sono quelle realtà dove non si guarda mai, come se non esistessero , in realtà, però, ci sono e vivono dentro di noi, dentro la nostra più profonda interiorità. Imparare a conoscersi significa prendere in considerazione anche questi “punti ciechi” a noi poco manifesti, ma non per questo meno significativi per la nostra vita. Imparare a conoscersi è qualcosa di più della biografia dell’IO, è, invece, la biografia del sé. È importante prendere consapevolezza di quello che realmente siamo, non per autocompiacerci ma per uscire da sé ed entrare in relazione con gli altri. L’apprendimento è un processo relazionale, senza relazione con coloro che ci stanno attorno non si genera apprendimento, ma soltanto informazione. Oggi siamo bombardati da tante informazioni, questo bombardamento, però, non genera automaticamente apprendimento. Molti docenti sono convinti che ampliando il programma e moltiplicando le informazioni, automaticamente dovrebbe aumentare l’intensità dell’apprendimento. Nell’apprendimento non è sempre valida la formula causa-effetto. Spesso l’apprendimento è maggiore nei casi in cui il docente parla poco e fa parlare, invece, molto gli allievi. Cioè quando conduce gli allievi ad assumere un atteggiamento di pensiero riflessivo. È la relazione docente-alunno che sprigiona la forza motivazionale per un giusto apprendimento, ovviamente nella relazione non ci sono mai soggetti passivi e soggetti attivi, ma tutti sono attori protagonisti del processo di apprendimento. Secondo questa logica, anche l’insegnante mentre insegna apprende, quindi nella relazione s’innesca un processo di apprendimento generale che riguarda tutti gli attori coinvolti. In questo processo relazionale un elemento fondamentale che accomuna tutti i protagonisti è rappresentato dalla conoscenza. Questa ha un prezzo molto alto, poiché noi cresciamo nella conoscenza attraverso le nostre fragilità. La conoscenza si ha nella relazione con le persone, questo significa che bisogna compromettersi nella quotidianità se vogliamo fare qualcosa di buono. Nel processo di formazione l’educatore deve aiutare i propri allievi a saper differenziare l’Io usando il logos, questo vuol dire passare dalla fase logica a quella analogica. Formare significa fare crescere le persone, la crescita, a sua volta, comporta una continua limitazione o delimitazione, cioè dare forma. Pertanto, si deve passare da un processo d’insegnamento basato sulle risposte a uno incentrato sulle domande. in altre parole, son i dubi, gli interrogativi che ci spingono verso la conoscenza e la crescita, facendoci passare dai confini dell’IO a quelli del Sé. Oggi si parla di terza fase della formazione, quella del pensiero riflessivo. In sintesi, questa terza formazione consiste in un processo di riflessione-interpretazione, immaginazione-narrazione.

Il processo educativo deve condurre i ragazzi a passare dal romanzo dell’Io al racconto del sé, in altre parole, si tratta di orientare gli allievi a essere ciò che sono. L’educatore non è il “messia” salvifico degli alunni, ma colui che, con tutte le sue fragilità umane, ha il compito di orientare i suoi allievi verso direzioni di senso, questi allievi, a loro volta, consapevoli del loro sé faranno delle scelte coerenti con il loro modo di essere. Gli educatori non hanno il compito di aiutare i loro allievi a diventare qualcuno, ma quello di educarli a essere persone, orientandoli nella conoscenza per crescere ed essere.

Guglielmo Borgia

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